Intervista di Rock One
Traduzione di Jadax
 

E’ il 5 del settembre scorso e noi siamo alla riva della Senna, sul Batofar, questa barca tutta rossa, ultimo rifugio del rock nella capitale parigina ormai conquistata dalla musica elettronica. È in questo luogo pieno di simbologia che il gruppo tedesco s’appresta a rispondere alle domande dei giornalisti, in coppia o da soli, a seconda dell’importanza del media. Noi siamo ben felici di trovare Paul Landers (chitarra) e Till Lindemann (voce) a rispondere alle nostre domande nella loro lingua madre, con un interprete che ci facilita il lavoro. 

Perché avete sfornato due dischi così rapidamente uno dietro l’altro? E’ raro per un gruppo famoso come voi.

P.L: Avevamo talmente tante canzoni per “Reise, Reise”, da non sapere quali inserire e quali no. Come al solito ce ne erano troppe e ne abbiamo messe alcune da parte. Ma stavolta erano molte quelle buone che non avevamo potuto inserire. Però ne mancava ancora qualcuna per concepire un seguito di “Reise, Reise” che fosse credibile ai nostri occhi. Allora abbiamo fatto una cosa che non avevamo mai tentato prima: siamo tornati in tutta fretta in studio a Berlino e abbiamo fatto 4 o 5 canzoni supplementari, come ad esempio “Te Quiero Puta” e “Mann Gegen Mann”, per completare l’album.  

DELLE TESTE DURE

Non avete un po’ paura di fare due album simili, avendo fatto due sessioni di registrazione così ravvicinate?

P.L.: Infatti questa era l’intenzione. È veramente come una sorta di album doppio che abbiamo dovuto tagliare a metà e vendere in due volte per guadagnare più soldi! (Ride) No, in realtà la ragione era un’altra: avevamo un contratto con la Universal per fare 5 album e la casa discografica aveva accettato di considerare questo cd supplementare come un album interamente a parte, il che ci ha fatto ora arrivare al quinto album, con cui abbiamo soddisfatto il nostro contratto, e ora possiamo rinnovarlo.

Ora i Rammstein hanno 12 anni, come spiegate la facilità con cui riuscite a scrivere canzoni sempre nuove, senza ripetervi?

P.L: Già all’interno del gruppo c’è talmente tanta gente da avere tante teste dure da formare 3 gruppi! Non c’è il problema del “blocco dello scrittore” perché la maggior parte dei testi e delle prime idee viene sempre da Till. Il giorno in cui lui non avrà più idee, allora potranno esserci questo genere di problemi. Ma per quanto concerne la musica, ce ne sono anche troppe di idee. Eppoi tra due album, la maggior parte delle volte passano 3 anni nei quali possiamo aprirci verso altre cose e così avere sempre idee nuove. Con l’eccezione di questo album, poiché ha subito seguito “Reise, Reise”, in cui non ci sono veramente delle sorprese sul piano musicale.

Si sente che tutti i membri del gruppo sono abbastanza chiari nelle loro interviste riguardo al rapporto che il gruppo ha con i fans. Questa chiarezza è il modo migliore di andare avanti senza preoccuparsi delle apparenze, di cosa la gente pensa di voi?

P.L: Ci sono due tipi di gruppi: quelli come gli AC\DC che nell’ultimo album sono esattamente come nel primo, e quelli come U2, Depeche Mode o Red Hot Chili Peppers in cui c’è sempre un’evoluzione, qualche cambiamento. E c’è anche un terzo tipo di gruppo che comincia bene ma che man mano va sempre peggio (ride). Per noi quello che importa è non ripetersi mai. È una delle nostre ossessioni all’interno del gruppo. Eppoi, i tempi cambiano, la musica stessa si evolve intorno a noi. Bisogna pensarci. Oggi non è più la stessa epoca di quando abbiamo iniziato, in cui la musica techno era preponderante. È tornato il “metal-rock”. Noi ci evolviamo all’interno di questo ambiente.

Quale canzone è stata all’origine di “Rosenrot”?

La cosa non funziona così per noi. Quando sappiamo di dover far uscire un altro album, ci troviamo tutti insieme e proviamo tutte le idee che ci si presentano. Ciascuno dice la sua e, in poco tempo, si impongono degli elementi che vanno in una certa direzione. Per esempio, al momento vorremmo che il prossimo album sia più duro. Poi potrà non essere così, ma al momento è questa l’idea di partenza. 

FUNZIONARE BENE IN SEI

Fate gli album in opposizione con quello precedente?

P.L: Ogni volta vogliamo fare un passo avanti. Ma è anche una cosa abbastanza automatica per i Rammstein. Ci sono delle cose che non si possono ripetere, perché perderebbero vigore. Allora preferiamo fare cose decisamente diverse.

Le vostre canzoni sembrano sempre più precise, sia a livello di testi che di strumentazione e produzione. E’ anche questo a causa del fatto del “non ripetersi”?

P.L.: Con il tempo si imparano molte cose sulla musica, le strutture dei pezzi, su come arrangiare quella o quell’altra parte etc…Ma bisogna quanto meno avere alla base sempre delle buone idee. Spesso ci sono delle “battaglie interne” per ottenere il meglio di noi stessi e per non accontentarci delle cose già registrate.

Avete discussioni che vanno al di là delle questioni musicali?

P.L.: Sempre. Come ti ho già detto, abbiamo personalità molto differenti. Ma comunque abbiamo imparato a prendere questo in considerazione e tutto sta nel lasciare una certa libertà ad ognuno per far funzionare bene tutti e sei. E’ una forma di democrazia partecipativa dove tutte le idee vengono messe alla prova dal gruppo.

Cosa significa il titolo dell’album?

P.L.: Avevamo progettato di chiamarlo “Reise, Reise vol. 2” per far vedere che si trattava della seconda parte, perché non volevamo imbrogliare la gente, ma la nostra casa di produzione trovava che non fosse poetico come titolo (ride). Allora ci abbiamo ripensato, e poiché per noi il titolo dell’album di solito deriva dal titolo di una canzone, “Rosenrot” è stato quello che ci è sembrato corrispondere meglio allo spirito di questo disco.

Come il rosa e il rosso si contrappongono, i temi trattati in questo nuovo CD sono altrettanto l’opposto di quelli che si trovano abitualmente nella musica rock. E’ anche questo un modo per differenziarvi?

P.L.: E’ sempre stato così per noi, fin dall’inizio. Abbiamo la fortuna  di avere Till che scrive questi testi che toccano veramente il cuore della gente. Non è nulla di calcolato, che possiamo prevedere. Ci viene naturalmente. Potrebbe anche essere che per il prossimo album non sarà così, non possiamo saperlo.

Pensate davvero che un giorno tutto questo potrebbe non funzionare?

P.L.: Potrà certamente succedere. Non è merito nostro che la nostra musica abbia avuto un tale successo, è arrivato così. Certi gruppi che hanno fatto un buon album arrivano poi a produrre dischi meno buoni, meno fantastici, ma non bisogna volergliene, bisogna piuttosto felicitarsi con loro per il buon album che hanno registrato. E’ molto difficile fare “il botto”, e più i tuoi dischi vanno bene, più le sfide sono difficili da vincere.

In che misura il successo vi mette sotto ulteriore pressione?

P.L.: Per il nostro terzo album, la pressione è stata pressocchè insopportabile, per il quarto è stato molto facile, ma quando hai successo c’è questa pressione e può ben essere che uno cada sotto di essa. Quando si è un gruppo giovane, che è agli inizi, ci si batte per essere conosciuti e tutta l’energia va lì. Ma una volta famosi bisogna avere altrettanta energia per rimanere insieme, e all’inizio uno non si immagina che questa seconda fase richieda altrettanti sforzi.

La più bella sfida per un gruppo resta comunque fare delle canzoni che non sono ancora state fatte?

P.L.: Sì. Sicuramente, ma noi la sentiamo meno come una difficoltà, perché ci piace e perché abbiamo molte idee per cui tutto viene senza bisogno di forzarlo. Ma tutte queste idee non servirebbero a nulla se il gruppo non esistesse più, se non ci fosse più questa coesione tra di noi. E’ come se il gruppo fosse la macchina e le idee il suo carburante. 

UN SENSO ROMANTICO

La copertina del CD rappresenta una nave rompighiaccio. Questo ha il significato di “rompere il ghiaccio” nei confronti della gente?

T.L.: No, ha piuttosto un significato romantico nell’immagine di una coppia che si arena in mezzo al nulla, e ha anche una ragione estetica. Il meglio è che ciascuno trovi la propria interpretazione, è interessante per me sapere ciò che ne pensa ciascuno.

E’ un po’ come con le vostre canzoni, una volta che sono state registrate, non vi appartengono più?

T.L.: Sì, è esattamente così, e non potrebbe essere altrimenti. Siamo a casa a preparare la nostra canzone, e una volta arrivati in studio, la canzone non ci appartiene già più, appartiene al gruppo. Poi pubblichiamo l’album ed essa appartiene al pubblico.

Avete detto spesso che l’album precedente “Reise, Reise” è stato fatto con molta pressione e difficoltà, sembra che per questo sia stato il contrario…

T.L.: E’ già la seconda volta che lo sento, e non so quale membro del gruppo abbia iniziato la diceria che ci sia stata una tale pressione al tempo delle registrazioni di “Reise, Reise”, perché per me non è stato così. E’ vero che c’è spesso pressione al momento della pre-produzione, perché lì si tratta di prendere una decisione, e anche se è un processo democratico, possono esserci dei conflitti.
Per “Reise, Reise” eravamo in Spagna, precisamente a Malaga, e non c’è stata molta pressione. Non più che in passato, comunque.

Il titolo dell’album fa riferimento alla letteratura tedesca?

T.L.: No, non direttamente, è semplicemente una espressione ripresa dal ritornello della canzone omonima. Questo ritornello è come un segnale, come può esserlo talvolta il colore rosso. Ma “Rosenrot” è anche la storia di questa ragazza che vuole avere a tutti i costi una rosa che è caduta in dirupo, e che è pronta a mandare il suo uomo alla morte per recuperarla. La parola “Rosenrot” è come un simbolo, che potrebbe anche essere un diamante, una pietra preziosa fuori dalla propria portata.

Sarebbe un modo per dire che tutte le storie d’amore finiscono male?

T.L.: No, assolutamente. Del resto c’è un’altra canzone nell’album, una ballad il cui titolo è “Stirb nicht von mir” che significa “ non morire prima di me”. Per cui no, non tutte le storie d’amore finiscono male. “Rosenrot” è forse il nostro album più romantico.

Quanta parte c’è nei vostri testi delle vostre personali esperienze?

T.L.: E’ vero che per noi le canzoni sono spesso molto autobiografiche. Quando abbiamo registrato “Rosenrot” non me la passavo tanto bene e guarda caso anche agli altri andava come me, Ma, sul piano musicale, ci siamo trovati bene ad essere pressappoco tutti dello stesso umore. Ecco perché c’è una coincidenza tra questo album e la mia malinconia. E’ vero che questo è il nostro album più romantico.

E’ anche per questa ragione che ci sono tanti contrapposizioni, per esempio fra il bene e il male, l’energia e la calma…

T.L.: Non sono gli aspetti che mi preoccupano per primi. In questo caso, non è stato una cosa voluta. Ma forse è nella natura delle cose, spesso i contrari si riuniscono.

SENZA GLI ALTRI…

Il potere della canzone è anche questa capacità d’evocazione, raccontare delle storie perché poi la gente ne racconti altre?

T.L: E’ vero che chi ascolta o legge le parole delle canzoni del gruppo si immagina anche delle proprie storie. Poiché ripensa alla propria esperienza, scopre dei punti in comune e si dice: “Qualcuno esprime qualcosa di simile a ciò che ho già vissuto”. Io per esempio in passato ho letto molto. E all’epoca non potevo immaginarmi nel futuro. Sono stato contento di trovare nelle mie letture qualche soluzione ai miei problemi esistenziali. Leggere fa sempre bene, uno si sente meno solo.

È difficile in un gruppo intrattenere a lungo una relazione che possa “arricchire”(la mente N.d.T)?

T.L: Ci conosciamo tutti veramente molto bene, ancor più di quando si è sposati. Perché una coppia sposata si separa in generale al mattino per lavorare in luoghi differenti, mentre noi siamo sempre insieme. Quando siamo in tournèe per esempio, siamo insieme giorno e notte. E non restano che le poche ore di sonno per rimanere separati. È per questo che conosciamo così bene la sensibilità di ciascuno, come ci si può irritare o far ridere a vicenda. Ci troviamo dentro una specie di cellula, che funziona come un “biotipo” (insieme di individui che hanno i medesimi aspetti intellettuali e psichici N.d.T) e, ovviamente, ciascuno tenta di fuggire da questa vicinanza, e quando si ha un momento libero, lo si passa senza gli altri.

Arrivi a sognarteli di notte i Rammstein?

T.L: Sì, e la maggior parte delle volte si tratta di incubi! (Ride) Spesso quando ci si sveglia ci si rende conto che la realtà non è poi così grave come sembra. Ma ciò che è veramente difficile, è durante la fase di pre-produzione, che è un processo estremamente concentrato, e durante quel periodo si assorbe tutto ciò che ci passa attorno, e si dice: “Questa cosa qua la posso utilizzare per un mio testo, là un tizio cade per terra, e posso usare anche questo per il mio lavoro, ecc”. e tutte queste osservazioni e queste impressioni entrano anche nei tuoi sogni. È un po’ snervante a forza di avere la testa piena di musica. Per quanto mi riguarda mi sento sfinito, vuoto, riarso dopo la fase di pre-produzione di un album.  

L’ARTE DI DIALOGARE TRA NOI

La canzone che apre l’album si chiama “Benzin”. Il gruppo ora ha 10 anni: qual è il vostro carburante?

T.L: Penso sia la parità che esiste all’interno del gruppo: ognuno ha gli stessi diritti, gli stessi doveri ed è pagato allo stesso modo. Non c’è nessun privilegiato. È questa nostra sorta di democrazia che ci fa continuare a vivere. Penso che essa sia possibile perché noi ci parliamo molto spesso, ci si aiuta molto. È semplice farlo per qualsiasi gruppo quando si passa un periodo in cui si sta bene insieme, ci si diverte. Ma poi può diventare difficile quando bisogna continuare a parlarsi, e spesso i gruppi vanno in frantumi e finiscono per non parlarsi più. Non è il caso nostro. Tutto sta nell’arte del dialogare tra noi, liberarci delle nostre ossessioni personali al servizio delle canzoni del gruppo e di una democrazia che tra noi funziona. È quello che spesso viene chiamata, senza fare brutti giochi di parole, la “terapia di gruppo”.

Questa terapia, funziona meglio quando il gruppo ha il sentimento comune di continuare ad andare avanti, è questo il caso ora?

T.L: Il successo del gruppo dipende dalla volontà di ciascuno, perché la “terapia di gruppo” non è che una metafora. Ciò che volevo dire è che bisogna che continui una qualche forma di confronto. Talvolta una disputa può avere anche una funzione terapeutica. È veramente questa volontà di dialogo ad essere la chiave della nostra intesa.